MARICLA PANNOCCHIA
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MASSACRARE PUBBLICAMENTE UNA PERSONA E' GIORNALISMO?

17.02.2021
Che si tratti di uno sconosciuto diventato famoso all’improvviso, magari sui social o dopo un’apparizione in tv, di una persona salita alle ribalte della cronaca in un caso di vita vera, o di una celebrità, per me la risposta è “no”. Ma andiamo più in dettaglio. Ieri mi sono ritrovata a leggere un articolo scritto da una giornalista di nome Hadley Freeman, pubblicato sul The Guardian. Lo specifico perché non stiamo parlando di un quotidiano di provincia o di un blog con 10 followers (e, comunque, massacrare pubblicamente qualcuno sarebbe stato ugualmente sbagliato) ma di un giornale britannico che ha circa un milione di lettori, e questi lettori sono aumentati del 43% nell’ultimo anno. Insomma, una grande testata, con un sacco di professionisti che vi contribuiscono. Un grande organo di comunicazione.

L’articolo in questione affonda a pieni colpi l’attrice (anzi, la “celebrità”, come scrive la Freeman) Angelina Jolie. Leggendo, sono rimasta allibita, perché avevo l’impressione di star leggendo la pagina di diario di un’adolescente che si sfoga verso una compagna di scuola più popolare, che lei considera “troppo sexy, troppo bella” e a questa (vera o presunta) sensualità e bellezza da tutto il merito dell’interesse che scaturisce nei media e nelle persone. Se anche si fosse trattato di un personal essay (un’importante lezione imparata sulla pelle dell’autore) avrebbe dovuto avere toni molto più moderati e un’analisi più rispettosa e complessa.

Qui di seguito riporto una manciata di parole (500 parole è il massimo che permette la licenza di The Guardian per chi vuole utilizzare parte dei suoi testi per motivi non economici, ma se masticate bene l’inglese vi consiglio di leggere l’articolo per intero, trovate il link in fondo alla pagina). Premetto che Angelina Jolie è una delle persone che stimo di più al mondo e che m’identifico in lei per molti aspetti, ma quest’articolo mi avrebbe ugualmente indignata anche se fosse stato scritto verso una persona/celebrità che non fa altro che pensare a sé stessa senza promuovere alcun valore sociale. 
So if it’s not because of the movies, then why? Well, Jolie is very beautiful and she does lots of things that come under the vague umbrella term of “humanitarian work”: campaigning for refugees, women and children in developing countries, which is obviously very good; going to war zones during actual wars, which is … is that good? (...)


Quindi se non è per via dei films (che è così famosa, ndr), allora per quale motivo? Bè, la Jolie è molto bella e fa un sacco di cose che possono stare sotto la vaga definizione di "lavoro umanitario": campagne in favore dei rifugiati, delle donne e dei bambini dei Paesi in via di sviluppo, che ovviamente va molto bene; andare personalmente nelle zone di guerra durante i conflitti che è... va bene? (...)

Partiamo dal fatto che la signora Freeman ha sentito il bisogno di scrivere quest’articolo perché recentemente la Jolie è finita in copertina di British Vogue con relativo servizio fotografico + video + intervista. E allora? Escono migliaia di copertine ogni giorno, e molte hanno come protagoniste le celebrità. Comunque, se quest’evento privo d’importanza fosse stato usato come punto di partenza per un articolo rispettoso e completo, avrei anche potuto chiudere un occhio. Il fatto è che la Freeman, a parte sminuire la carriera artistica della Jolie (che, comunque, non è il punto centrale), prende tutto ciò che ha un sapore vagamente sociale e lo deride o smonta. Stiamo parlando di una donna che avrebbe potuto trascorrere tutta la vita a godersi i suoi milioni e le sue ville, invece ha scelto d’impegnarsi in prima persona su cause umanitarie, andando personalmente nei campi profughi e in zone di guerra, battendosi per i diritti delle donne, contro gli stupri durante i conflitti e sostenendo numerosi programmi, in diversi Paesi, donando milioni di dollari. E la Freeman dice che secondo lei Angelina è brillante in ciò che fa, ovvero essere una “celebrità.” La cosa preoccupante di articoli del genere è che, lo sappiamo benissimo, la maggior parte della gente non perde troppo tempo a mettere in dubbio o ad approfondire ciò che legge. Quest’articolo avrebbe potuto essere scritto come spunto per trattare argomenti di cui sentiamo parlare poco e/o male (es. i rifugiati) partendo da una persona che conoscono tutti per poi ampliare il discorso.
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Un’altra parte che mi ha dato a dir poco sui nervi è come l’autrice abbia scritto che Angelina ha adottato “milioni di bambini”, in realtà ne ha adottati tre (e ne ha pure tre biologici, se bisogna essere precisi). Da sempre io sono a favore dell’adozione (in Italia - nel Paese dei Balocchi, come dice un mio amico - una persona single ancora oggi non può adottare) e si parla poco, e spesso male, dell’adozione e dell’affido famigliare. Una manciata di parole del genere su un giornale così importante di sicuro non aiuta le persone a informarsi o a vedere l’adozione non come un piano B per chi non può avere figli suoi, ma come una risorsa, un valore aggiunto, una scelta che può non avere niente a che vedere con la capacità propria o dell’eventuale partner di avere figli biologici.
Si continua sostenendo che l’85% delle domande poste alla Jolie nell’intervista di British Vogue siano sulla famiglia, il 13% sul suo lavoro umanitario e l’1% sui films. Come se fosse una cosa sbagliata! Siamo in un mondo in cui la maggior parte della gente ha perso di vista i veri valori. La famiglia è indubbiamente uno dei valori più importanti, ma molte persone sembrano dimenticarlo. E sì, a me interessa di più sapere dei suoi progetti in Cambogia o nei campi profughi piuttosto che come sarà vestita nel film della Marvel. Il problema è che la gente spesso legge ciò che viene scritto. Assorbe parole e insinuazioni/insegnamenti (se così possiamo chiamarli) del genere. Queste brevi frasi dicono ai lettori che è bene concentrarci sui films, sulla professione di una persona (ehmn, “celebrità”) e non certo sul lavoro umanitario e cominciare a scavare e capire davvero e personalmente come va il mondo. In quel caso, uno potrebbe scoprire che la Jolie dice ripetutamente che i rifugiati non sono una seccatura ma delle persone resilienti, dei professionisti come la maggior parte dei noi, dei genitori, dei nonni, dei figli, dei fratelli. Degli esseri umani. Meglio ricordare, più o meno velatamente, che i rifugiati sono “l’altro” e il “diverso” e che è bene continuare ad avere paura di chi viene da lontano. Meglio lasciare in Cambogia i problemi della Cambogia, e in Africa quelli dell’Africa.

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​La maggior parte delle persone purtroppo ha le priorità al posto sbagliato; questa pandemia non ci ha reso migliori, come speravamo (o fingevamo di sperare), all’inizio. Ha evidenziato tutti i problemi che già c’erano nel mondo e come la mentalità individualista caratterizzi ancora molte persone, preoccupate per sé, al massimo per la propria famiglia. Ovviamente ci sono tante persone altruiste che, pandemia o meno, si danno daffare per gli altri e cercano di vivere in maniera rispettosa, però sono sempre messe in secondo piano dalle masse di chi, invece, non ha ancora capito cosa conta davvero.
Prendendo ad esempio una persona come Angelina, questa giornalista avrebbe potuto parlare di argomenti di rilevanza sociale con competenza e rispetto. Invece, ci siamo ritrovati con un articolo che, lo ripeto, trovo eccessivamente personale e di conseguenza poco professionale. Io non sono giornalista professionista, nel senso che non sono registrata all’Albo, ma scrivo per varie testate e sui miei profili social. Oggigiorno ci sono molti professionisti della comunicazione che possono essere articolisti, blogger, giornalisti professionisti ma anche persone che, avendo accesso ai social media, possono esprimere la propria opinione su qualunque argomento e persona con estrema facilità. Ho sempre pensato che il detto: “Le parole possono ferire più di un’arma” sia vero. Pochissimi di noi possiedono un’arma, sanno usarla e avrebbero il coraggio di sparare a qualcuno. Ma la maggior parte di noi possiede la capacità di parlare, sa come far uscire le parole di bocca e non ci pensa due volte a usare quest’arma, che sia in forma scritta o verbale.

Mi chiedo se la signora Freeman avrebbe detto tutte queste cose alla Jolie in faccia. Non credo. Considerando che l'articolo fa riferimenti anche a parti della vita personale/scelte personali della Jolie, e non è vero che le celebrità non possono/devono avere una vita personale, perché in questo mondo super-tecnologico, potremmo dire lo stesso di ognuno di noi. Nessuno deve permettersi di giudicare, specialmente pubblicamente, scelte di vita attuali o passate di un'altra persona, anche se questa è nell'occhio pubblico. Affermazioni del genere, incoraggiano le persone a giudicare gli altri, anche chi conoscono poco o solo tramite le pagine dei giornali o i social. Scrivere da dietro uno schermo di computer, per quanto poi il testo sarà pubblicato e diffuso online, dà un senso di sicurezza e protezione in più. Recentemente, in collaborazione con altre Associazioni, sto lanciando un corso che si chiama “Tecniche di comunicazione sensibile: il cancro pediatrico” rivolto proprio ai professionisti della comunicazione ma adesso mi rendo conto che quel titolo – Tecniche di comunicazione sensibile – dovrebbe essere abbinato a qualunque argomento, inclusi articoli apparentemente frivoli come quelli sulle “celebrità”.
Ultima nota, quest’articolo è datato 13 febbraio 2021. Due giorni dopo, il 15 febbraio, sarebbe caduta, come ogni anno, la Giornata Mondiale contro il Cancro Infantile. Il The Guardian non ha scritto un articolo al riguardo. I media, soprattutto quelli grandi, scelgono quali priorità dare alla gente, o quali nutrire. Tutto quello spazio avrebbe potuto essere riempito con storie di bambini oncologici, su un giornale con oltre un milione di lettori. Ma no. Bisogna ricordare alla gente di deridere gli altri, magari per sentirsi meno insicuri, più forti. Ho sentito il bisogno di scrivere questo sfogo perché quando leggo articoli del genere rimango davvero allibita dal potere dei media (perché la colpa, va detto, non è solo della Freeman ma anche di chi ha incaricato e poi letto e pubblicato l’articolo) e da come spesso venga usato per mancare di rispetto alla gente e continuare a nutrire una società basata sull’individualismo, l’indifferenza, la mancanza di rispetto, la paura per il “diverso” con priorità come avere l’ultimo modello di cellulare, i vestiti di marca o sapere chi esce con chi a Hollywood.
Anche in questo caso, dobbiamo ricordare che siamo tutti esseri umani, e rispettarci in qualsiasi contesto. Quando questa basilare lezione, che sembra così difficile da capire per i più, sarà finalmente appresa, credo che anche il mondo del giornalismo sarà un luogo migliore, più utile. 

Link all'articolo sul The Guardian (in inglese)
Immagini: Pixabay.com
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