Quando hai cominciato a scrivere?
Ho iniziato a scrivere le prime storie brevi quando avevo circa sette anni e non mi sono mai fermata (a parte gli anni dell'adolescenza in cui non ho scritto con una particolare frequenza). Scrivere ti dà energia o ti esaurisce? Entrambe le cose. Penso che per scrivere qualcosa di degno di nota una persona debba scavare dentro sé e le parole devono uscire da un luogo interiore fatto di autenticità ed emozioni, quindi può essere un processo a tratti doloroso e stancante. Hai mai pensato di usare uno pseudonimo? L'ho fatto quando ho pubblicato il mio primo romanzo "La mia amica ebrea" perché non volevo che delle persone a cui ero vicina, e con cui avevo chiuso i rapporti per motivi seri, potessero rintracciarmi sui social. Cerchi di essere il più originale possibile oppure di accontentare i lettori? Onestamente penso che non abbia alcun senso scrivere per cercare l'approvazione altrui o per vendere più copie. Allo stesso modo, penso anche che voler essere originali a ogni costo non serva a niente. Come accennavo prima, penso che una persona debba scrivere per il semplice, puro bisogno di farlo e se ciò che scrive sarà in linea con quello che i lettori vogliono, o sarà originale, ben venga ma per me non è tassativo. Ho sempre scritto perché non potrei vivere senza e perché ho determinati messaggi che sento di dover condividere, storie che voglio raccontare, a prescindere da quello che la gente vuole leggere e dall'eventuale originalità. |
Vuoi che ogni tuo libro sia un mondo a sé oppure vuoi creare una sorta di linea comune fra tutte le tue pubblicazioni?
Credo che ci sia già una linea comune fra tutti i libri che ho pubblicato finora, includendo anche il romanzo per ragazzi in lingua inglese (Letters from Afghanistan), ed è il forte impegno sociale. Sento che continuerò su questa linea, in entrambe le lingue, e non escludo di realizzare una vera e propria trilogia proprio per "Letters from Afghanistan".
Quanti manoscritti non pubblicati hai scritto finora?
Ho perso il conto!
Cosa significa, per te, "successo letterario"?
Fare la differenza, in positivo, nelle vite delle persone che siano i lettori oppure le persone a cui il libro dà voce.
Come scegli i nomi dei tuoi personaggi?
Di solito scelgo nomi semplici da leggere e ricordare.
Leggi le recensioni ai tuoi libri? Come reagisci a quelle negative?
Sì, le leggo per il semplice motivo che sono molto curiosa. Non so se finora sono stata particolarmente fortunata ma, dato anche il fatto che tutti i libri che ho scritto finora hanno ottenuto, se sommati, un numero considerevole di recensioni, ma non ne ho avuta nemmeno una al di sotto delle tre stelline, con la maggior parte di recensioni a 4 o 5 stelline. Penso anche che sia importante relazionarsi con i blogger e con i lettori, nonché con le persone in generale, in maniera rispettosa. Ad esempio in alcune recensioni di "Letters from Afghanistan" dei lettori mi hanno suggerito una parola in slang americano piuttosto che una in slang inglese, com'era nel libro, ma l'hanno fatto con delicatezza e rispetto e quel refuso non ha minato la loro recensione, proprio perché, anche se solo attraverso un paio di messaggi sui social, mi ero sempre posta per prima con rispetto e umiltà.
Quali sono, secondo te, gli elementi più importanti per scrivere un buon libro?
Penso che sia necessario conoscere benissimo l'italiano, o la lingua in cui si vuole scrivere, inclusa la grammatica. Ciò che reputo più importante, una volta appurato che il livello grammaticale, stilistico e lessicale è elevato, è scrivere qualcosa perché ne senti il bisogno. Porto spesso l'esempio dell'assetato che beve un bicchiere d'acqua. Ecco, per me quando scrivo provo lo stesso piacere di quell'assetato, e grazie all'acqua - o alla scrittura - mi sento viva e rimango effettivamente in vita. Scrivere puntando ai soldi o alla fama non ha alcun senso. Scrivere è un lavoro come un altro, ci vogliono anni di gavetta, errori e lezioni.
In quale modo usi i social media come autrice?
Ammetto che non sono mai stata particolarmente interessata ai social e ho cominciato a usarli proprio perché ormai tutti li hanno e, non facendolo, sarei rimasta indietro nel mercato. Detto questo penso che, se usati bene, i social possano essere un ottimo strumento per condividere emozioni e pensieri, oltre che per promuovere i propri libri. Quando scrivo "promuovere" non mi riferisco mai allo spam, ma a una promozione ben strutturata e contestualizzata. Io cerco di usare i social (Instagram e Facebook) anche per informare i miei followers e lettori riguardo alle cause sociali che mi stanno a cuore e, in generale, a quello che succede nel mondo perché spesso i grandi media non danno spazio a certe notizie. Quando possibile, cerco di lanciare anche delle call to action - ovvero "chiamate all'azione" - per ribadire un concetto per me fondamentale, ovvero come tutti noi abbiamo del potere e possiamo scegliere che cosa fare delle nostre vite, apportando cambiamenti positivi nel mondo.
Come ti organizzi quando scrivi un libro?
Generalmente non posso permettermi di dedicarmi solamente al mio libro quindi diciamo che incastro la sua stesura fra altri impegni. Detto questo, quando mi decido a iniziare a lavorare su una nuova opera prendo l'impegno molto sul serio e cerco di andare avanti con una certa regolarità.
Quali rischi hai corso, nell'ambito della scrittura, che sono stati ripagati?
Scrivere "Letters from Afghanistan", il mio primo romanzo per ragazzi in inglese. Ho avuto un paio di lettrici madrelingua inglesi che lo hanno letto prima dell'uscita ma per il resto l'ho scritto tutto da sola e ne sono davvero soddisfatta perché ha ricevuto e continua a ricevere recensioni positive da persone di tutte le età e da vari Paesi del mondo. Allo stesso modo ho corso un rischio con "Boccioli nel fango", andando in un campo profughi al confine turco-siriano con la Onlus "Support and Sustain Children" perché varie volte mi sono chiesta se davvero sarei stata capace di raccontare a parole ciò che avrei visto, ciò che quelle persone vivono ogni singolo giorno. In tanti ci hanno già provato prima di me, e in molti altri ci proveranno in futuro, quindi era un po' una sorta di sfida con me stessa e onestamente sono soddisfatta del risultato e credo di essere riuscita a far arrivare, almeno in parte, ciò che si prova in un campo profughi e soprattutto quello che vivono le persone costrette ad abitarci.
Quando scrivi hai l'abitudine di ascoltare la musica?
Sì, per anni ho avuto quest'abitudine ma sia quando ho scritto "Letters from Afghanistan" sia quando ho scritto "Boccioli nel fango" non ho sentito questo bisogno, anche se non saprei perché.
Credo che ci sia già una linea comune fra tutti i libri che ho pubblicato finora, includendo anche il romanzo per ragazzi in lingua inglese (Letters from Afghanistan), ed è il forte impegno sociale. Sento che continuerò su questa linea, in entrambe le lingue, e non escludo di realizzare una vera e propria trilogia proprio per "Letters from Afghanistan".
Quanti manoscritti non pubblicati hai scritto finora?
Ho perso il conto!
Cosa significa, per te, "successo letterario"?
Fare la differenza, in positivo, nelle vite delle persone che siano i lettori oppure le persone a cui il libro dà voce.
Come scegli i nomi dei tuoi personaggi?
Di solito scelgo nomi semplici da leggere e ricordare.
Leggi le recensioni ai tuoi libri? Come reagisci a quelle negative?
Sì, le leggo per il semplice motivo che sono molto curiosa. Non so se finora sono stata particolarmente fortunata ma, dato anche il fatto che tutti i libri che ho scritto finora hanno ottenuto, se sommati, un numero considerevole di recensioni, ma non ne ho avuta nemmeno una al di sotto delle tre stelline, con la maggior parte di recensioni a 4 o 5 stelline. Penso anche che sia importante relazionarsi con i blogger e con i lettori, nonché con le persone in generale, in maniera rispettosa. Ad esempio in alcune recensioni di "Letters from Afghanistan" dei lettori mi hanno suggerito una parola in slang americano piuttosto che una in slang inglese, com'era nel libro, ma l'hanno fatto con delicatezza e rispetto e quel refuso non ha minato la loro recensione, proprio perché, anche se solo attraverso un paio di messaggi sui social, mi ero sempre posta per prima con rispetto e umiltà.
Quali sono, secondo te, gli elementi più importanti per scrivere un buon libro?
Penso che sia necessario conoscere benissimo l'italiano, o la lingua in cui si vuole scrivere, inclusa la grammatica. Ciò che reputo più importante, una volta appurato che il livello grammaticale, stilistico e lessicale è elevato, è scrivere qualcosa perché ne senti il bisogno. Porto spesso l'esempio dell'assetato che beve un bicchiere d'acqua. Ecco, per me quando scrivo provo lo stesso piacere di quell'assetato, e grazie all'acqua - o alla scrittura - mi sento viva e rimango effettivamente in vita. Scrivere puntando ai soldi o alla fama non ha alcun senso. Scrivere è un lavoro come un altro, ci vogliono anni di gavetta, errori e lezioni.
In quale modo usi i social media come autrice?
Ammetto che non sono mai stata particolarmente interessata ai social e ho cominciato a usarli proprio perché ormai tutti li hanno e, non facendolo, sarei rimasta indietro nel mercato. Detto questo penso che, se usati bene, i social possano essere un ottimo strumento per condividere emozioni e pensieri, oltre che per promuovere i propri libri. Quando scrivo "promuovere" non mi riferisco mai allo spam, ma a una promozione ben strutturata e contestualizzata. Io cerco di usare i social (Instagram e Facebook) anche per informare i miei followers e lettori riguardo alle cause sociali che mi stanno a cuore e, in generale, a quello che succede nel mondo perché spesso i grandi media non danno spazio a certe notizie. Quando possibile, cerco di lanciare anche delle call to action - ovvero "chiamate all'azione" - per ribadire un concetto per me fondamentale, ovvero come tutti noi abbiamo del potere e possiamo scegliere che cosa fare delle nostre vite, apportando cambiamenti positivi nel mondo.
Come ti organizzi quando scrivi un libro?
Generalmente non posso permettermi di dedicarmi solamente al mio libro quindi diciamo che incastro la sua stesura fra altri impegni. Detto questo, quando mi decido a iniziare a lavorare su una nuova opera prendo l'impegno molto sul serio e cerco di andare avanti con una certa regolarità.
Quali rischi hai corso, nell'ambito della scrittura, che sono stati ripagati?
Scrivere "Letters from Afghanistan", il mio primo romanzo per ragazzi in inglese. Ho avuto un paio di lettrici madrelingua inglesi che lo hanno letto prima dell'uscita ma per il resto l'ho scritto tutto da sola e ne sono davvero soddisfatta perché ha ricevuto e continua a ricevere recensioni positive da persone di tutte le età e da vari Paesi del mondo. Allo stesso modo ho corso un rischio con "Boccioli nel fango", andando in un campo profughi al confine turco-siriano con la Onlus "Support and Sustain Children" perché varie volte mi sono chiesta se davvero sarei stata capace di raccontare a parole ciò che avrei visto, ciò che quelle persone vivono ogni singolo giorno. In tanti ci hanno già provato prima di me, e in molti altri ci proveranno in futuro, quindi era un po' una sorta di sfida con me stessa e onestamente sono soddisfatta del risultato e credo di essere riuscita a far arrivare, almeno in parte, ciò che si prova in un campo profughi e soprattutto quello che vivono le persone costrette ad abitarci.
Quando scrivi hai l'abitudine di ascoltare la musica?
Sì, per anni ho avuto quest'abitudine ma sia quando ho scritto "Letters from Afghanistan" sia quando ho scritto "Boccioli nel fango" non ho sentito questo bisogno, anche se non saprei perché.