MARICLA PANNOCCHIA
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COME SI VIVE VERAMENTE IN UN CAMPO PROFUGHI?

4/3/2022

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Da quando sono tornata dalla missione con la Onlus italiana Support and Sustain Children (SSCh) in un campo profughi al confine turco-siriano, le persone mi pongono spesso questa domanda. Basta che io accenni all'esperienza che ho vissuto che la gente mi domanda, "Ma come si vive veramente in un campo profughi?". Me l'hanno chiesto amici, conoscenti e intervistatori. Ho pensato spesso a che risposta dare, ma non è facile. Penso che nel nostro vocabolario non esistano parole adatte a esprimere quello che si vive davvero in un campo profughi (e ovviamente sto parlando da persona occidentale che ha la fortuna di poter andare e tornare quando vuole), perché ho trovato situazioni e ho provato emozioni spesso contrastanti fra loro, ma ci voglio provare.
Assenza totale di tessuto sociale
Noi tutti siamo abituati ad avere una serie di comodità e servizi che spesso diamo per scontati. Io sono nata e cresciuta in un piccolo paese toscano e ora abito in una grande città. Ho sempre avuto la tendenza a dire che "nel paesino non c'è niente", ma non è vero. Nel campo profughi dove sono stata non c'è niente. Esso è composto solamente da una distesa apparentemente infinita di tende azzurre e biancastre. Dentro due di quelle tende ci sono le scuole fondate e sostenute da SSCh. Lì non esistono cinema, teatri, banche, ospedali, farmacie, centri sportivi, centri di aggregazione, pizzerie, ristoranti... le persone non progettano week-end fuori porta, aperitivi con gli amici e non organizzano feste di compleanno con i festoni e i clown per i loro figli.
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Umanità e ospitalità
Avevo sentito parlare dell'ospitalità siriana, ma viverla sulla propria pelle è un'altra cosa, specialmente in un contesto del genere. Lì la maggior parte delle persone non ha assolutamente niente e dipende da SSCh per sopravvivere. Quasi tutti i bambini non hanno né scarpe né calzini e indossano abiti leggeri nonostante il freddo. Ho perso il conto delle volte in cui i bambini mi hanno portato dei cuscini per farmi stare più comoda mentre sedevo sul tappeto nella tenda, ricordo il ragazzino che mi ha offerto le sue patatine, o ancora l'atmosfera che si respirava quando Arianna (fondatrice di SSCh), Paolo (fotografo) ed io siamo rimasti a cena nella tenda di uno degli insegnanti, la cui moglie aveva preparato il miglior cibo possibile per noi. Ricordo anche come, proprio in una tenda sperduta nel niente, mi sia sentita in pace e completa come non mi capita quasi mai in Occidente.
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Le stufe sono alimentate con la plastica
Non tutte le famiglie hanno le stufe. Ricordo che, mentre andavamo via dal campo, una sera, ho visto alcune tende con un foro da cui usciva la canna fumaria e Arianna ha commentato, "Quelle sono le famiglie fortunate, hanno la stufa". SSCh provvede a comprare le stufe per i casi più bisognosi e le ha acquistate anche per le scuole. Le stufe qui vengono alimentate con la plastica. Nel campo vedi bambini e ragazzi che vanno in giro a raccogliere fasci di plastica da terra. Ricordo di aver visto una ragazzina, non avrà avuto più di dieci-undici anni, con indosso un vecchio abito, i piedi nudi, china a raccogliere la plastica. La strada era sterrata, come tutte quelle del campo. Intorno a lei, il niente più totale, solo quella manciata di tende. La fregatura, con la plastica, è che quando questa viene gettata nella stufa fa una fiammata che scalda tutto e tutti per un paio di minuti, poi però torna subito il freddo. Per questo motivo, la maggior parte delle persone non usa le stufe di notte, e così dorme al freddo. 
Le scuole
Arianna e tutti i membri di SSCh le chiamano "tende Arcobaleno" e questo nome mi piace molto, perché rimanda appunto agli allegri colori dell'arcobaleno. Ho avuto modo di passare tanto tempo con i bambini e i ragazzi di entrambe le tende-scuola e di vedere con i miei occhi il lavoro fondamentale portato avanti da Arianna e dalla sua squadra. Prima dell'arrivo di Arianna, molti di questi bambini non avevano mai preso in mano una penna. Le scuole non sono utili solo per insegnare ai bambini a leggere, scrivere e contare ma sono delle vere e proprie oasi dentro il campo. Qui, specialmente da quando SSCh ha acquistato il computer per permettere all'insegnante di usare anche films, video educativi e cartoni animati, i bambini scoprono tutte le cose che esistono e che sono possibili al di fuori del campo in cui sono costretti a vivere. Le tende-scuola (una delle quali è gemellata con una scuola elementare di Torino, aspetto secondo me molto importante) sono aperte anche oltre l'orario delle lezioni - che qui è nel tardo pomeriggio, perché molti bambini e ragazzi durante il giorno lavorano - di modo che chi vuole possa andarvi per disegnare, parlare e giocare con gli altri bambini e per ritrovarsi in un ambiente stimolante e protetto piuttosto che a bighellonare nel campo. C'è da precisare che le due tende-scuola non sono riconosciute, ovvero dopo un tot di anni di frequentazione i bambini non ottengono alcuna certificazione. Non ci sono sedie, banchi o suddivisioni fra le classi. Bambini di tre anni frequentano le stesse lezioni dei ragazzi di tredici. 
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I bambini sono spesso trattati come "merce di scambio"
Ho lasciato questa parte per ultima perché è quella che mi ha scioccato di più, forse perché non me l'aspettavo. Prima di partire, seguendo già persone che hanno viaggiato ripetutamente nei campi profughi, avevo l'idea che i genitori costretti a fuggire dalla propria terra e a vivere in un campo profughi facessero, sempre e comunque, il possibile per proteggere i loro figli e garantire loro un futuro migliore. Ho scoperto che (quantomeno in questo campo) spesso non è così. Il campo è afflitto dalla piaga del lavoro minorile, ma questo è un altro discorso. Qui vivono anche numerosi nuclei di bambini orfani. Molti giovanissimi che hanno perso i genitori, una volta arrivati al campo, cercano una donna che possa prenderli con sé. Ci sono, quindi, diverse donne che hanno in cura svariati bambini che non sono loro e per i quali spesso non si preoccupano come farebbero delle madri. Ricordo il caso di un nucleo di composto da alcuni fratellini e una sorellina, che tremavano come  foglie (non è un modo di dire, ricordo chiaramente come uno dei bambini batteva i denti dal freddo), costretti a dormire, da soli, in una tenda senza alcun tipo di riscaldamento nonostante facesse un freddo terribile. Noi che eravamo coperti con giacche invernali, cappelli, guanti e quant'altro ci lamentavamo del freddo. Questi piccoli vivono con gli zii che hanno i loro figli, che dormono con loro in un'altra tenda con la stufa. SSCh ha comprato una stufa per la tenda degli orfani, ma è comunque una di quelle che qui viene alimentata con la plastica, e ricordo che ci sono stati anche dei dubbi, della serie: "Sarà prudente lasciare dei bambini soli con una stufa per tutta la notte?". L'alternativa sarebbe stata lasciarli al freddo. Questi bambini, tra l'altro, non sono propriamente orfani, ma entrambi i genitori sono vivi e li hanno abbandonati. La madre prende i soldi che le spettano per i figli, ma non li usa certo per i bambini (che non vede mai, perché lei vive fuori dal campo). Ricordo la piccola N., che avrà circa 6 anni, e vive con l'anziana zia. N. è costantemente malata, spaventata e, sebbene probabilmente non subisca abusi fisici, sono sorti dei dubbi su come si senta la bambina ogni volta che, per esempio, è costretta a stare nella tenda con la zia. Questa donna non ha  mandato N. a scuola per tre mesi, usandola come "arma" per pretendere più aiuti da parte di SSCh.
Alah, quindici anni, che vive in una modestissima casa nella città più vicina al campo, non va a scuola da tempo. Quando ho chiesto alla madre perché, questa mi ha spiegato che la scuola è lontana e che Alah aveva paura ad andarci ogni giorno all'alba. Alah ha due fratelli, uno minore malato di cancro e uno di sedici anni, "l'uomo di casa" dopo la morte del padre. "Adesso lui potrebbe accompagnarla" ha detto la mamma, aggiungendo che lei non sarebbe stata contraria a mandare la figlia a scuola sapendo che il fratello maggiore avrebbe percorso la strada con lei. C'era un "ma": tutto ciò sarebbe stato possibile solo se SSCh avesse contribuito alle spese mensili della famiglia. Poiché la scuola in Turchia è gratuita, ho chiesto alla mamma di Alah perché non mandi ugualmente la figlia a scuola, a prescindere dall'eventuale aiuto datole da SSCh e lei ha risposto: "Inshallah". Non c'è un reale motivo per cui la madre non manda più Alah a scuola. Quando le ho chiesto cosa sogna per il futuro, la ragazzina ha risposto: "Niente". A diciotto anni, la maggior parte delle ragazze che ho conosciuto era già moglie e madre, a volte di più di un bambino. 
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    Pensieri in libertà. Emozioni in viaggio. Dubbi. Crescita personale. Il caos e la meraviglia che ho nella mente e nell'anima. 

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